sabato 28 aprile 2012

Un professore in doppio petto


Un professore in doppio petto

Quell’omino era ormai inaffidabile,
lo si doveva cambiare con uno rispettabile.
Gli fecero, allora, un vero sgambetto,
e lo cambiarono con uno in doppio petto.

“ In pectore” già era stato designato,
e ancor prima, senatore nominato.
Capo del governo venne fatto e detto
,eccoci il professore in doppio petto.

Il paese è stato chiamato a salvare,
e lui mostra sicurezza sul da fare:
tassare ogni cosa in modo diretto,
ma con il sorriso ed in doppio petto.

Vengono tagliati stipendi e pensioni,
si tassano case, aziende e capannoni;
l’uso del contante, poi, viene ristretto:
ecco la cura del premier in doppio petto!

A licenziati, a esodati, a disoccupati,
a famiglie di imprenditori suicidati,
a chi dalla morsa fiscale viene stretto
non dice nulla l’uomo in doppio petto.

I giovani che cercano un posto sicuro,
lui li ammonisce in modo assai duro.
“ Poi, che monotonia un posto suddetto!”
Esclama il professore in doppio petto!

“Questo governo ha un obiettivo palese:
bisogna azzerare il debito del paese.”
A grossi sacrifici, ognuno sarà costretto.
Ricetta di super Mario in doppio petto.

Dalla padella siam passati alla brace,
dopo la dignità, ora perdiamo la pace.
La morsa fiscale un cappio ci ha stretto,
gestita da un burocrate in doppio petto.

Io, però, voglio dire l’opinione mia:
questa cura è peggiore della malattia,
e il paese finirà in vicolo più stretto.
Colpa d’un professore in doppio petto.
(Pino Bullara)

domenica 3 luglio 2011

'A Lagnusia



‘A lagnusia

“Cadi ficu e mmucca m’ha pigliari.”
“Santa lagnusia nun m’abbannunari!”
“‘U lagnusu havi tridici grazi o jornu,”
di tutti l’antri ci nni ‘mporta un cornu.

 
Un lagnusuni stava stinnicchiatu,
stancu, picchì s’avia addrivigliatu.
Un pusticeddru avissi vulutu truvari:
‘na cosa leggia dunni ‘un c’era di sudari.

 
Un jornu ‘u ji a truvari un so cumpari,
ca a Milanu avia jutu a travagliari.
«Ddrà, dissi, semu tutti quanti furtunati,
dunni ti vonti, ci su’ sordi ni tutti ‘i lati.»

 
Pinzannu a li paroli du cumpari,
partì pur’iddru, pi jiri a travagliari.
Appena arrivà, stancu a ccom’era,
l’occhi ci eru ‘ndra ‘na cantunera:

‘na carta di deci euru vitti ‘n funnu,
ma chistu si vonta tunnu, tunnu:
«Ah veru ca ora mi tocca travagliari!
Ma oi è festa... e mi vogliu arripusari!»
(Pino Bullara    )

domenica 3 aprile 2011

‘A storia di Cinarina




(La leggenda di Cynara:traduzione)

Cinarina! Cinarina!
Quantu guai vitti, mischina!
Cynara era ‘na ninfa graziusa,
e addivintà cacocciula spinusa.*

Si cunta e ricunta ‘sta storia vera,
a tempu di quannu ‘a Sicilia greca era.
C’era ‘na vota ni ‘st’isula ‘ncantata,
‘na picciutteddra da tutti disiata.

Pi capiddri chiari chiamata Cynàra,
avia du’ occhi virdi di biddrizza rara.
Piffin’all’Olimpu addivintà famusa,
e Zeus scinnì pi canusciri ‘sta carusa.

‘U sannu tutti ca Zeus era un ricuttaru,
e si cangiava in cignu o antru armaru,
pi fari corpo ni fimmini ca aducchiava,
ma Cynara tinni: ‘u so amuri rifiutava.

Zeus, arrabbiatu, mutà sta beddra carusa,
facennula addivintari cacocciula spinusa.
Però ‘u cori di Cynara nun potti mutari:
bonu e prezziusu continuà a ristari.

Cca,‘a cacocciula ha statu sempri nustrana.
Da Sicilia, o mediuevu, sbarcà ‘n Toscana.
Cu Catarina de’ Medici ‘n Francia fu purtata.
Ora ’a cacocciula ni tuttu ‘u munnu è chiantata.

Ni tutti ‘i paisi ‘i cacocciuli su’ vinnuti o purtati.
‘I cacocciuli senza spini sunnu i cchiù chiantati.
A cacocciula spinusa, però, è ‘a cchiù circata;
veni di Palermu, Cerda, Menfi e Licata.

‘A cacocciula la cucinamu, oramai, tutti quanti;
la priparanu, puru, putìi, taverni e ristoranti.
Si fa fritta, scallata, sutt’ogliu o comu piaci,
ma ‘a cchiù gustusa è fatta arrustuta na braci.

Cinarina! Cinarina!
Era ‘na beddra signurina.
‘U corpu addivintà tuttu spinusu,
ma ‘u so’ cori ristà dunci e priziusu.
(Pino Bullara)

*Cynara scolymus: nome scientifico del carciofo.



lunedì 14 marzo 2011

I re d'Italia


Conosco un re passato alla storia
con tanto d'onore, di fama e di gloria;
veniva chiamato "il re galantuomo":
non era galante, ma un misero uomo.

 
Apparteneva a quel ramo cadetto
che tolse il regno all'erede diretto:
al primo in successione della lista,
con una legge del tutto maschilista.

 
Si vocifera, pure, un'identità fasulla:
una sostituzione fatta nella culla
col vero erede, in un rogo perito,
così come il padre avrebbe impartito.

Era un tipo che non amava studiare,
gli piacevano le donne e cavalcare.
Prese per moglie una sua cugina;
aveva due amanti: Laura e Rosina.

Un giorno al cugino ruba il reame,
con una mossa meschina ed infame:
Corrompe i funzionari di quel regno,
con grosse promesse, come pegno,

viene sceneggiata una spedizione,
fatta all'insegna della liberazione,
quindi va per fermare l'avventuriero,
invece si annette il regno per intero.

Continuò a farsi chiamare "secondo",
per sottolineare ai sudditi e al mondo,
la conquista di terre del suo casato
e non la nascita di un nuovo stato.

"Padre della Patria" sarà chiamato
e un grande altare gli verrà dedicato.
In realtà fu "un padre padrone",
che martirizzò tutto il meridione.

Ogni forma di lotta e resistenza
sedò con forza e inaudita violenza;
il dissenso, con meschino cinismo,
venne chiamato soltanto: banditismo.
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Il figlio Umberto salì poi sul trono,
facendosi chiamare: "il re buono";
ma si trattava di un'etichetta fasulla,
in verità costui era un buono a nulla.

Teneva il popolo afflitto e affamato,
impose l'iniqua tassa sul macinato,
non soltanto al centro e al meridione,
ma "per equità" anche al settentrione.

In Sicilia si arrestarono sindacalisti,
operai, intellettuali, popolari e socialisti
A Milano si fermò una manifestazione,
sparando sulla folla a colpi di cannone.

Il re, prima giudicò il fatto esecrabile,
poi insignì con la croce il responsabile.
Nei rapporti politici internazionali,
si adoperò per le conquiste coloniali.

Divenne ben presto talmente odiato,
che ricevette anche più d'un attentato;
ma a Monza, il terzo gli sarà fatale:
perse la vita... e lasciò il Quirinale.
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Vittorio Emanuele terzo gli succederà,
la politica degli avi costui continuerà.
La gente lo chiamava "il re soldato"
e a fare il militare era stato educato.

Era cinico, arrogante e opportunista,
permise l'avvento del regime fascista.
Un regime vile dai principi dittatoriali,
che osò approvare anche leggi razziali.

Poi il re, quando vide cambiare il vento,
cambiò governo e amici in un momento.
Ruppe l'alleanza con gli eserciti germani,
e fece l'accordo con gli Anglo-americani.

L'otto settembre, in modo immorale,
abbandonò il paese, nel disastro totale.
Darà, poi, al figlio la corona del paese,
ma Umberto sarà re solo per un mese.

Il due giugno del quarantasei si voterà;
"il re di Maggio" il referendum perderà.
L'Italia si darà un assetto repubblicano
e manderà in esilio per sempre il sovrano.

I vincitori scrivono la storia;
i vinti ne conservano la memoria.
Passano giorni, mesi ed anni...
il tempo svela intrighi ed inganni.
(Pino Bullara)

domenica 13 marzo 2011

Italia


A Quarto la luna faceva capolino
a due navi della società Rubattino.
Vennero mille uomini di nascosto,
decisi a unificar l’Italia ad ogni costo.
Salparono di notte il cinque maggio,
con tutto l’entusiasmo ed il coraggio.
Poi, l’undici a Marsala sbarcarono
a migliaia i picciotti vi si unirono.

Calatafimi, Palermo e poi Milazzo,
infine, entrati a Napoli nel palazzo.
Vinta a Volturno l’ultima resistenza,
l’unità d’Italia prendeva consistenza.
Ecco i due uomini di fronte, a Teano:
Garibaldi va avanti e tende la mano:
“Saluto il primo re d’Italia, con onore.”
E Vittorio Emanuele: “Grazie di cuore.”

Poi, il diciassette marzo successivo,
avvenne, infine, l’evento conclusivo:
A Torino si unì il nuovo parlamento
per ratificare il grande avvenimento.
Ma il primo re d’Italia fu un "secondo",
per sottolineare all’Italia e al mondo
la conquista di terre del suo casato
e non la nascita di un nuovo stato.

Di acqua nei fiumi ne dovrà passare
per affermare la volontà popolare.
Finita la seconda guerra mondiale
rinascerà un'Italia nuova e più vitale.
Un’Italia repubblicana e unitaria,
membro dell’Europa comunitaria
Un’Italia più libera e democratica
che si fonda sul lavoro e sull’etica.
(Pino Bullara)





sabato 5 marzo 2011

Polpi e polipi






Pancia e testa sono un tutt’uno,
come lui non c’è nessuno:
otto piedi tutti d’un colpo,
è un mollusco di nome polpo.

Ma se il polpo è tutto polpa,
poverino, non ha certo colpa;
non ha lisca né una conchiglia,
e la polpetta non è sua figlia.

Anche piovra viene chiamato;
di norma, bollito va preparato.
Quando un polpo mangiare voglio,
io scelgo sempre quello di scoglio.

Di doppia ventosa esso è dotato,
 a tavola viene molto apprezzato.
Poi, in mezzo a tanti polpi piccini,
i più buoni sono i moscardini.

Però  il polipo è un’altra cosa:
è una neoformazione fastidiosa;
sta nelle mucose o nell’orecchio,
e l’otorino lo vede con lo specchio.

La parola polipo non va confusa,
con la forma larvale di medusa,
che come ramo sta in fondo al mare
e quando cresce si va a staccare.

Poi, spugne e coralli sono formati
da tanti animaletti tutti affiatati,
che vivono ognuno in buchi ristretti
e anche loro polipi sono detti.

Andando, quindi, in pescheria,
non scambiamola per l’infermeria:
compriamo il polpo che va cucinato,
ma chi ha un polipo… andrà curato.
    (Pino Bullara)


lunedì 28 febbraio 2011

Surcivecchi (pipistrelli)

                                        
Di surcivecchi vi vogliu cuntari,
ca sulu di notti si vidinu vulari.
‘Na vota c’era ‘a paci ni la terra,
po’ tra surci e anceddri (1) ci fu guerra.

Li surcivecchi vinniru chiamati:
sapiri comu avianu a essiri cullucati.
«Veru ca semu vecchi, ma videmu,
ca surci comu a vantri, nantri semu!»

Po' a l'anceddri arrispunneru di 'sta manera:
«Avemu l'ali e avemu a stessa bannera!»
Quannu eranu l'anceddri ca vincivanu,
‘i surcivecchi cu chisti si nni ivanu;

quannu eranu ‘i surci c’avianu furtuna,
‘i surcivecchi cangiavanu cumpagnuna.
‘Stu jocu, però, a longu nun putìa durari,
e surci e anceddri si nni eru addunari;

misiru di latu, allura, li so battibecchi
e ficiru ’a guerra, tutti du’, e surcivecchi.
Picchì li surcivecchi volanu di notti?
-Ca surci e anceddri ci vonnu dari botti!



(Pino Bullara)

  (1) Uccelli

venerdì 25 febbraio 2011

Il pero nano



Di pere, il pero nano non ne faceva niente,
ma un sacco di fogliame e rametti solamente.
Poi, basso com’era, del tutto a niente serviva,
neanche un po’ di ombra d’estate forniva.

Si dava arie d’essere albero grande e bello
e godeva delle disgrazie di questo e quello.
Si vantava delle sue qualità uniche e rare,
ma solo sparlare tutti gli altri sapeva fare.

Vedendo questa cosa inutile, allora il Padrone,
un giorno con la zappa gli assesta uno strattone
procurandogli, davvero, un serio danno;
poi lo lasciò a patti: fare pere entro l’anno.

Il pero nano sembrò capire l’avvertimento,
e volle cambiare carattere da quel momento.
A primavera, ‘stavolta, era tutto in fiore,
per far notare a tutti quanti il suo valore.

Ma quando poi il Padrone va, finalmente,
a raccogliere le pere, trovò una pera solamente.
Povero pero! Solo un misero frutto aveva dato,
ma si sa: “Chi nasce rotondo, non muore quadrato.”

Pero nano malfatto e velenoso;
cosa inutile, superbo ed invidioso.
Neanche a far ombra sei servito,
hai fatto un frutto solo e rattrappito.
(Pino Bullara)

domenica 20 febbraio 2011

'U piru nanu


Di pira, ‘u piru nanu nun ni faciva nenti,

ma pampinazzi e ccippiteddra sulamenti.

E po’, vasciu a com’era, a nenti sirbiva,

mancu tecchia d’ummira ‘a stati faciva.



Si dava l’aria d’arbulu beddru e ‘ranni,

e gudiva si a l’antri capitavano malanni.

Si vappariava di so’ qualità unichi e rari

ma sulu sparlari a tutti l’antri sapiva fari.



Vidennu sta cosa ‘nutili, allura,‘u patruni

un jornu ci va duna un corpu di zappuni,

ca cu tutta ‘a radica ‘u stava scippannu,

po’ lu lassà a  patti: fari pira ni l’annu.



‘U piru nanu parsi ca capì l’avvirtimentu,

e vonzi cangiari carattiri di ‘ddru mumentu.

A primavera si inchì di tanti beddri shuri,

pi fari a vidiri a tutti quanti ‘u so valuri.



Po’ ‘u patruni va pi cogliri ‘i pira, finarmenti,

ma a la cuntata… c’era un piru sulamenti:

un poviru piru tuttu purritu e abburdunatu.

Ma si sapi:“Cu nasci tunnu ‘un mori quatratu”.



Piru nanu, malufattu e ‘ntussicusu;

cosa ‘nutili, sivusu e mmidiusu;

mancu pi fari ummira veni usatu;

facisti un fruttu sulu e abburdunatu.
(Pino Bullara)




sabato 12 febbraio 2011

Parole in "cia"e "gia"


 
Quante regole! Quante osservazioni!
Ognuna, poi, ha la sue eccezioni.
Nel plurale di parole in "cia" e "gia",
la "i" appare e scompare per magia.

Mantengono "i" facendo "cie" e "gie",
parole come  farmacie e nostalgie,
perché, in "i", tonico hanno l'accento.
Ma "i" atona fa un altro ragionamento:

se prima di  "c" e "g" c'è una vocale,
mantiene la "i" anche il plurale;
se, invece, si troverà una consonate,
si abbandonerà la "i" all'istante.

Roccia con rocce farà il plurale;
ma "i" ha ciliegie, perché c'è la vocale.
Senza "i" sono le province italiane;
quelle lombarde, però, sono strane.

Parole in "scia", per completamento,
seguono lo stesso ragionamento.
Ricorda: con vocale, "i" all'istante;
senza"i", se prima c'è la consonante.
                                     (Pino Bullara)


Girotondo